La poesia SHADOW apre con una ferita.
“In the chaos of this world / I’m torn and frayed”
Non è solo caos esterno, ma anche interiore. Le emozioni sono frammentate, disconnesse, come se l’identità stessa fosse pixelata. Chi parla è cosciente della propria rottura, ma non ne è distrutto: la racconta, la canta.
Poi arriva l’amore.
“but love is the echo / of voices unswayed”
L’amore non è presenza, ma eco. È un suono di voci che non si sono piegate, che resistono nel tempo, anche se distanti. È una forma di fedeltà silenziosa, un residuo di qualcosa che è esistito e che continua a vibrare dentro.
“Is there a light or / just a mirage?”
È la domanda centrale di chi vive nel glitch. Vediamo la luce o solo la sua illusione? La risposta non arriva, e forse non serve. La poesia non vuole consolare, ma riflettere il dubbio. Un dubbio che è reale, condiviso.
Il collasso emotivo prende forma sonora:
“drowning my fears / in sonic collage”
Non c’è una linea narrativa, solo sovrapposizioni. Suoni, ricordi, paure che si accavallano come un collage rumoroso, disordinato. È così che molti di noi elaborano le emozioni: in frammenti, distorti e ripetuti.
Ma la voce continua.
“To the faithful I sing / my song”
Chi parla ha ancora qualcosa da offrire: la propria voce. Nonostante tutto, canta per chi crede, anche se pochi. È un gesto di resistenza poetica, un atto intimo ma potente. Creare, cantare, esprimersi: sono gesti sacri.
Infine, l’affermazione finale:
“but I belong to / the shadows alone”
Non è una fuga, è un’identità. L’ombra diventa casa, luogo di autenticità, di protezione. Lontano dalla luce artificiale, chi parla trova il proprio spazio. È una dichiarazione di autonomia, di scelta controcorrente.
La poesia SHADOW ci invita a restare nel dubbio, nel rumore, nell’ombra — non per paura, ma per verità. Le sue parole sono schegge, glitch, frammenti sonori che risuonano in chi non si sente allineato. È una mappa emotiva per anime spezzate, ma ancora vibranti.
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